martedì 14 febbraio 2017

Il Graal e il cuore del cavaliere

di Antonio Biviano  




 La parola Graal deriva dal latino “Gradalis”, cioè coppa o calice. Esso è comunemente associato al contenitore che raccolse il Sangue di Cristo. In realtà, come tutti voi ben sapete si tratta di un mito assai ben più grande e antico. Alle radici delle credenze cristiane, infatti, si riteneva che il Graal fosse la stessa coppa utilizzata da Giuseppe d’Arimatea per raccogliere il sangue dal costato di Cristo morto sulla Croce. Da cui, la fuga ed un lungo viaggio fino alla sua sosta in Francia, si riallaccia e scaturisce poi un’altra leggenda legata all’affascinante interpretazione  e traduzione della parola Sacro Graal in Sang Real, e quindi la ipotetica linea di sangue reale della discendenza di Cristo. Secondo tale teoria dunque, Cristo, avrebbe concepito con la compagna Maria Maddalena una figlia, e che queste fossero fuggite, con Giovanni, in Francia, appunto. Da cui la discendenza della linea di Sangue Regale verso la stirpe dei Merovingi. Essi,  discendenti di Gesù, sarebbero stati famosi per essere Re iniziati alle scienze esoteriche. Tanto da essere detti Re taumaturghi. Unica dinastia di Re-Sacerdoti, alla stessa stregua dei Faraoni d’Egitto.
Dopo un intervallo di centinaia di anni, ritroviamo la leggenda del Graal in pieno medioevo nel ciclo Arturiano, legato alle leggende dei Cavalieri della Tavola Rotonda, dove si narra della ricerca di questa coppa da parte di alcuni di essi, i più valevoli, quali Parsifal, Lancillotto e Galahad. Tale ricerca, già da allora era legata al convincimento che il Graal avesse delle proprietà miracolose, quali quella di dare una rigenerazione spirituale in colui che ne fosse entrato in possesso.
Possiamo ovviamente capire, da tali antiche leggende, quale sia il significato che bisogna attribuire al Graal, il quale è forse il più prestigioso ed antico simbolo del credo antico, tanto da essere descritto quasi sempre con il nome di Sacro Graal.
Già  nel mondo Celtico, nel II sec. a.C., infatti, ritroviamo un simbolismo legato ad una coppa, il calderone di Gundestrup, nella Danimarca dell’età del ferro, nella cui coppa vi erano incise 13 placche di altrettante etnie diverse. La sua simbologia prevedeva che bere da essa dava la possibilità al fortunato prescelto di trovare un modo di sintetizzare le grandi diversità culturali, e sociali di popoli tanto diversi e lontani tra loro, come a celebrarne l’unione impossibile. – Si ricorda che il mondo celtico si estendeva dalle Isole Britanniche, alla Francia, alla penisola Iberica, all’Italia fino all’Anatolia. Tutte le leggende Celtiche, risentono fortemente del simbolismo del Graal. E questo a sua volta ci riporta a miti storicamente ancora più lontani nel tempo, quali: -la coppa della mitologia Irlandese, donata ai primi re d’Irlanda dai mitici Tuatha De Danann; -la cornucopia della mitologia greca;-la coppa della mitologia nordica ricavata dal cranio di Ymir; -la coppa della conoscenza che teneva in mano la figura femminile del popolo Yoruba, del periodo preistorico del nord africa.

Molte tradizioni antiche si rifanno al simbolismo della coppa, e parlano tutte di un qualcosa che in una data epoca sarebbe andata perduta. La coppa è stata tradizionalmente sempre e ovunque legata al significato di contenitore di sapienza, ossia di vaso che raccoglie tutta la conoscenza spirituale: il Graal contiene in sé tutto il sapere degli universi creati. Dice Guenon:  Esso è il simbolo dell’anima umana, che era andata perduta, di un’anima che è rientrata in possesso del «senso dell’eternità» legato indissolubilmente a quello «stato primordiale» la cui restaurazione «costituisce il primo stadio della vera iniziazione ». Il Graal rappresenta oggi, un modo nuovo di vedere il rapporto che l’uomo ha con la divinità. Un uomo che non è più spettatore della propria vita, che fondendo la visione divina con quella terrena, ne diventa attore. Staccandosi dalla predestinazione e dalla provvidenza, da condotto diventa condottiero.

 Si noti ora come nelle tradizioni in cui si parla di tale coppa, essa ad un certo momento imprecisato vada perduta, proprio come nella tradizione esoterica si dice della “parola” , cioè del senno dell’iniziato, per poi, essere ritrovata. Ed ecco che la coppa del sapere viene perduta e poi ritrovata ad elargire, al Parsifal dei giorni nostri la sapienza e cioè la conoscenza spirituale di chi sacralizza se stesso. Incarnando in se il Graal dei nostri giorni. Concetto questo già presente e ben chiaro nell’”Elogio” di Bernardo di Chiaravalle, dove egli dice: «Il senso profondo della Cavalleria Templare è quello di risacralizzare il mondo». Partendo dal singolo Cavaliere-Uomo, da Graal a Graal. Da Cuore a Cuore.
Ed ecco che i Templari avrebbero elaborato una visione del mondo teorica ed operativa assieme, fondate sulla possibilità di fusione delle tradizioni culturali diverse, tanto da poter universalizzare scienza e religione. Questo stimolo li portava dunque ad un sapere elitario e ad un sincretismo politico, sociale e religioso, grazie alla loro presenza contemporanea in vaste aree geografiche infatti essi poterono attingere a varie tradizioni quali la orientale, l’ebraica, l’ellenica, la cristiana, la islamica, fino a conoscere la teologia del monachesimo orientale, la quale professava la riconquista della vita divina da parte dell’uomo, attraverso una rigenerazione spirituale, del tutto simile alla nostra attuale visione etica della ricerca del Graal.
Uno dei punti che a mio avviso è più affascinante, di tutta la saga del Graal, sta proprio nel fatto  che esso oscilli sempre tra religione ufficiale e credenze popolari. Esattamente come accade per gli argomenti di grande interesse trattati dall’uomo, ai quali, pur riconoscendogli una importanza religiosa, non si disdegna comunque di trovare anche un aspetto leggendario, astrale, ed esoterico.
 
Ed ecco come, più i Cavalieri vanno avanti e penano, e più sperano, vivendo una leggenda senza tempo. Ed è per questo, e solo per questo, che i Cavalieri percorrono le vie del mondo, dalle isole Britanniche all’Africa centrale, attraversando metaforiche foreste, vincendo incantesimi e talvolta perdendosi nel labirinto delle proprie visioni, per ritrovare la reliquia che è dentro di loro stessi, sintesi eterna di ogni bene. Come Parsifal, Essi, perennemente in armi ed in preghiera, sono protesi alla realizzazione di un sogno, impediti dalla loro umana imperfezione, sono comunque gli eroi di un’avventura senza tempo, ricca di segni e simboli misteriosi.
Decifrarli ed imitarli, può aiutare il Cavaliere-Massone di oggi, a capire se stesso.
La ricerca del Graal non è dunque un’azione, ma l’aspirazione metafisica di alcuni eletti, tra la massa profana, di ritrovare quella condizione di eccellenza iniziale, originariamente posseduta ed in seguito smarrita.  
Ed ecco come questa ricerca incarna il più profondo senso dell’iniziazione esoterica che conduce un manipolo di uomini a rifiutare il disordine del mondo contemporaneo, fondato sul potere della materia, nella ricerca di qualcosa di ben più grande e cospicuo. Il Graal è dunque un simbolo interiore, un archetipo, che guida il Cavaliere-Massone nelle tenebre del mondo profano, alla ricerca della conoscenza.  Esso è il principe tra i simboli esoterici della Cavalleria Templare e l’espressione di tutti i suoi valori morali.  La Cavalleria è dunque soprattutto un ordine ascetico, e il Graal è l’espressione della sapienza, della più profonda e antica conoscenza, associabile alla parola perduta che viene ritrovata, nella ricerca dell’ascesi e della sublimazione dell’Uomo- Cavaliere.
Possiamo quindi affermare che il compito di ogni Cavaliere è quello di ricercare il proprio Graal ripartendo dalle grandi tradizioni esoteriche dell’umanità. – Soltanto il Cavaliere che si dedica anima e corpo, a tale ricerca, potrà così trovare il proprio Graal, ovvero l’unione estatica con Dio, la via verso la Gerusalemme Celeste.
È superfluo quindi affannarsi in futili tentativi di rintracciare una qualche reliquia.- Il Graal è dentro colui che lo sa cercare.
Da questa preziosissima reliquia, il Calice della Passione, nasce per colui che la possiede non tanto una sorta di potere magico, quanto una più profonda consapevolezza di se stesso. E come si acquista questa consapevolezza, rifacendoci allo spirito dell’uomo medievale? alla luce del Graal, cioè alla luce di Cristo, del suo mistero di Passione, morte e Risurrezione.
Ed ecco come, se si apprezza e si accetta il proprio essere, con pregi e difetti, con grandezza e miseria, si può essere capaci di intraprendere il cammino verso Dio, quel cammino di ricerca che tanti uomini medievali attuarono nei pellegrinaggi verso la Terra Santa, nella ricerca teologica, nelle vocazioni monastiche, fino ad arrivare a sublimare se stessi.
Il  Graal, può ancora essere inteso come il “fuoco sacro” dei martinisti. Fuoco che nasce dall’esigenza di testimoniare se stessi, dispensando agli altri ciò che si è ricevuto. In tal modo il Cavaliere è simbolicamente assimilabile ad una coppa sacra, sempre piena e sempre vuota.
Un altro paragone che a nostro avviso ci pare pertinente, è quello che esiste tra il Graal e la Pietra Filosofale. Lo scrittore von Eschembach, dove si descrive il Graal come una pietra sacra, la lapis exillis del Parsifal. Esse rappresentano entrambi l’Antica conoscenza, quella che la maggior parte di tutti noi ha purtroppo dimenticato, cioè la “parola perduta”. La pietra filosofale è dunque un simbolo, un’idea, una chiave, essa è un elisir di lunga vita, dona l’omniscenza e permette di tramutare i metalli in oro.
 Volendo formulare un parallelismo con la nostra epoca, il Graal deve allora essere considerato a tutti gli effetti  come la nuova Arca dell’Alleanza tra Uomo e Dio. Anello di congiunzione tra la più profonda essenza cristiana e la tradizione esoterica.
 Chiudiamo con le parole di Claudio Bonvecchio, il quale dice: «Il Cavaliere che trova il suo Graal sacralizza se stesso. Da cui il senso odierno della Cavalleria, e cioè quello di sacralizzare il mondo. Cioè l’obbligo di migliorare il mondo che ci circonda, che circonda ogni cavaliere, partendo dalla propria interiorità. Ed ecco che il Graal può essere inteso come il sacro cuore, ed il processo di sacralizzazione può avvenire da cuore a cuore. Da Graal a Graal».

Riportando questa simbologia in una pratica operativa  dei giorni nostri, diremo che, il Cavaliere è uno che rischia. Il Cavaliere è colui che affronta le tensioni. Il Cavaliere difende sempre quello in cui crede. Egli è pronto al sacrificio, crede che si può sacralizzare il mondo. Ed ecco come la forza in una fede che può essere cristiana o non, il sacrificio, l’impegno a servire gli altri, il coraggio di rinunciare a qualcosa, l’amore e la fedeltà in un ideale o in una persona, ci può riportare ad un concetto originario della più intima ricerca del proprio Graal.

Ecco cosa a nostro avviso pensiamo possa voler dire oggi  riscoprire la figura del Cavaliere e della Cavalleria, il ritorno alle nostre origini.

 Il cavaliere è colui che cavalca da solo, verso la luce, pur sapendo che egli spesso si rimane da solo. Ma l’illusione dolcissima della conquista finale lo rende migliore, sacralizza la sua stessa esistenza, e chissà forse anche quella di coloro che lo hanno conosciuto.  Perché la luce non è altro che il Sacro che c’è in Lui.

Mi piace concludere con le parole di Gustavo Raffi, il quale scrisse: «Come infinita ricerca di vita e di un senso, il Graal è ancora davanti ai nostri passi nella notte».


                        “ Non nobis Domine, non nobis, sed Nomini Tuo da Gloriam”.